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LASSÙ


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Le esperienze non sono ripetibili,
è noto. Nessuno si bagna due volte nello stesso fiume. Capita, però, che un bizzarro imperativo categorico imponga di tornare in qualche luogo, pur sapendo che, mai e poi mai, potrai rivivere ciò che già hai vissuto. Non fosse altro per il fatto che tu sei diventata altro da te, che una coppia è diventata una famiglia, nel frattempo. Che hai dovuto aspettare cinque (lunghi) anni e che l’unica cosa immutata e immutabile è il luogo medesimo. Ciononostante hai deciso che l’ascesa s’ha da fare, nonostante la calura africana, il sole a picco, il Marito perplesso e il quasi-quattrenne al seguito, sul quale nutri più di un dubbio che regga l’impresa. Come spesso accade, invece, Lui è quello messo meglio di tutti, fa completa salita e discesa senza battere ciglio, parlando e cantando in bilingue lungo tutto il percorso, senza un secondo di tregua, mentre voi beneficiate di multi-visioni di tutti i santi del paradiso giunti sul luogo per farvi capire che non avete più l’età per certe cose, o per lo meno per farle in un pomeriggio di luglio (tardo pomeriggio, ammettiamolo, ma sempre con quei 35 o giù di lì), con la fatica aggiuntiva di badare a che la creatura non si butti dai bastioni mentre vi distraete quella frazione di secondo. Doveva essere un pellegrinaggio, in effetti, ché le illuminazioni meritano di essere celebrate, e alcune ancor più di altre. Così è stato, in verità, pur se nulla è ripetibile e le illuminazioni ben meno di altre esperienze. Resta il fatto che qualcosa è compiuto, un invisibile cerchio si è chiuso, nel luogo più vicino al paradiso che io conosca. E lassù tutto è immobile, eterno, immutabile. Per qualche secondo anche i 35 non si sentono più. E tu solamente vivi.


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